Ecco allora che, ripensando all’incontro con Clara Sánchez, inizio a mettere a fuoco qual è stato per me il suo vero significato. Quale messaggio ci ha lasciato questa scrittrice, più o meno coscientemente? Uno importantissimo: la cultura non è cosa avulsa dalla realtà. E per realtà intendo molte cose in una: in prima istanza l’attualità, il mondo intorno a noi che, oggi più che mai, per il suo ritmo frenetico, l’intensità della violenza che scatena, la complessità dei suoi linguaggi, richiede allo scrittore, all’artista, testimonianza e partecipazione.
In secondo luogo la verità, perché cos’altro è la letteratura se non un modo per conoscerci e riconoscerci attraverso la bellezza della parola? E in ultimo cito una realtà molto più piccola e più “nostra” (di noi docenti e studenti), una realtà della quale ci occupiamo tutti i giorni, che per noi, qui ed ora, è la vita stessa: la Scuola. Riformulo dunque il messaggio: la lezione che personalmente ho appreso e che ho la sensazione sia arrivata, potente e intensa, grazie a questo incontro, è che NOI (la nostra comunità) STIAMO FACENDO CULTURA. La scoperta dell’acqua calda? Forse, per alcuni, me lo auguro. Ma come docenti sperimentiamo tante, troppe volte, la sensazione che i nostri studenti percepiscano la letteratura, la cultura in generale, come qualcosa di lontano, freddo, morto, stagnante, che gli insegnanti tentano di fargli ingurgitare come una medicina amara, olio di ricino dei loro lunghi giorni (sei giorni a settimana per cinque anni!!) condivisi con noi, spacciandola per ambrosia, fiamma di conoscenza, mentre loro rimangono convinti, pur regalandoci qualche sorriso e soddisfazione qua e là, che la vita vera va in scena altrove.
Naturalmente a rafforzare questa convinzione ci si mette anche il mondo in cui viviamo che, all’intellettuale in erba, a chi per natura amerebbe la cultura, offre solo pane e cipolla. Così si spiegano i numeri sempre più esigui di coloro che si iscrivono a facoltà umanistiche. E c’è da capirli: la pancia la riempiono solo economisti, avvocati, ingegneri, eccetera, eccetera. Insomma, chi dovesse avere “el gusanillo de lectura” (il tarlo della lettura), come si dice in spagnolo, lo coltiva in privato, timidamente, relegandolo a passatempo piacevole … Purché non imposto dalla scuola!
Ma a rinfrancarci, a rassicurarci e a farci sentire forse tutti un po’ più vicini, docenti e alunni, adulti e adolescenti, c’è la lezione di Clara Sánchez: la vita dello scrittore, dice, è impegno costante, dedizione, è solitudine, in quanto esige raccoglimento e ricerca. E lo scrittore, l’artista vero, serio, anche se dotato di talento e creatività, sa che, per innovare e portare la propria scrittura ad essere contundente, deve conoscere quei giganti che lo hanno preceduto… Guarda negli occhi i ragazzi e prorompe entusiasta: “Bisogna leggere i classici!“. E condivide con loro i suoi gusti, le scoperte, quelli che hanno lasciato il segno in lei, sottolineando che bisogna avere l’umiltà di imparare, prima di poter insegnare. Poi si rivolge a me, a noi: “Ios profesores son unos sobrevivientes“, vede eroicità nel nostro sforzo di superstiti che ancora credono e si impegnano nella trasmissione della cultura in un contesto sociale che sembra affermare con arroganza di poter prescindere da essa.
Mi risuonano allora nella testa le parole di un grandissimo poeta e maestro spagnolo, esempio di rigore etico, oltre che estetico: “La cultura es concentración, labor heróica, callada y solitaria, pudor, recogimiento…” (La cultura è concentrazione , lavoro eroico, silenzioso e solitario, pudore, raccoglimento…). Antonio Machado, Poeta e Maestro, entrambe le cose per vocazione.
Mara Porinelli – docente di lingua spagnola